L’ascolto del proprio corpo favorisce il benessere inteso come equilibrio biopsicosociale

Quando viviamo una situazione di piacere o di felicità, percepiamo dal nostro corpo un’energia vitale che si esprime in una gestualità  espansiva: braccia allargate, salti, grida, risate che ci mettono in relazione con chi è accanto a noi con sguardi colmi di luce, abbracci, strette di mani. Il mondo è bello, la vita è meravigliosa, ci sentiamo circondati dalla bellezza della natura; proviamo gioia, felicità, amore. Ci percepiamo in armonia con tutto ciò che ci circonda. E’ dal corpo che sentiamo tutto ciò, e non per un processo di apprendimento, è un sentire spontaneo che si manifesta.

Quando viviamo una situazione di tristezza o di dolore, ci sentiamo privi di energia vitale. Una sensazione di fatica e sfinitezza ci pervade  ed essa si esprime in una gestualità ridotta: braccia annodate tra loro, passi strascicati, mutismo, pianto o un tono di voce quasi impercettibile. Ci ritiriamo dalle relazioni e il nostro sguardo trasmette come ci sentiamo e come percepiamo in quella circostanza la vita: brutta, ingiusta, complicata; sentiamo sfiducia e indifferenza nei confronti di tutto ciò che ci circonda. E’ dal copro che sentiamo tutto ciò e spontaneamente.

Nell’estremo piacere o dolore possiamo renderci conto che il proprio corpo è la nostra casa, il luogo in cui abitiamo; un’unità, come ogni organismo vivente, che sente, registra e risponde continuamente, in modo globale, a tutto ciò che lo circonda.

Anche le scoperte scientifiche dimostrano che mente e corpo sono sempre interdipendenti e interagenti.  La scienza afferma che il corpo è un’unità costituita da sistemi biologici predisposti all’omeostasi, cioè a quell’equilibrio biopsicofisico sinonimo di salute. Per esempio: la Psiconeuroimmunoendocrinologia dal 1985, è la scienza che si occupa di studiare le basi biologiche della comunicazione tra sistemi endocrini, immunitari e psicologici. Riconosce l’organismo come un tutto unico, costituito da una rete integrata di autoregolazione che mira al mantenimento dell’omeostasi. Lo stato psicologico dell’individuo influisce o modifica il decorso di un evento patologico.

Purtroppo, abbiamo perduto l’ascolto del copro come unità che è sempre in relazione con tutto ciò che lo circonda e lo stile di vita che conduciamo non rispetta assolutamente la nostra natura.

Infatti, nella nostra vita caratterizzata dall’ansia, quale rapporto abbiamo con il nostro corpo? L’ansia è generata dalla preoccupazione di soccombere dinnanzi a tutte le richieste che provengono dalla vita familiare, sociale e lavorativa poiché, fondamentalmente, ci percepiamo soli. La perdita del senso del tempo e la vita di corsa negano i bisogni umani di appartenenza e di condivisione e, promuovono l’individualismo. Il sociologo premio Nobel Zygmunt Bauman, ha definito “liquida” la società occidentale attuale, proprio per queste caratteristiche psicosociali che stressano l’uomo.

Si comprende perché, dinnanzi ai sintomi ansiogeni (tachicardia, sudorazione, vertigini, ecc.)o dello stress (insonnia, mal di testa, dolori gastrointestinali, ecc.)li consideriamo come dei “rumori” scollegati dalla vita che conduciamo.  Infatti, andiamo dal medico, che consideriamo essere l’esperto del nostro corpo. Noi ci approcciamo come se fossimo degli informatori e la sintomatologia diviene soggetto principale. Ci comportiamo così perché concepiamo il corpo come un oggetto da riparare.

Si rifletterà sul corpo come casa in cui abitiamo; come organismo di relazione per eccellenza e predisposto per sua natura al benessere ; scrigno della memoria di tutti i nostri vissuti e fonte creativa di quelli presenti.  Il corpo anche come via per la cura della sofferenza psichica. Continua…

Essere figli di alcolisti: condizione drammatica che incide sullo sviluppo e sull’intera esistenza

Da L’ Azione, 12/02/2019

I genitori nell’infanzia e nell’adolescenza sono per i figli un porto sicuro nel quale  crescere con la certezza di essere amati, protetti e guidati. La famiglia è come un nido preparato per sviluppare l’autostima e le capacità per relazionarsi. Il padre e la madre rappresentano per i figli il loro primo mondo di riferimento per conoscere, comunicare e crescere con i valori necessari per far parte  della società  quando saranno  adulti.

Ai figli del alcolista è negato tutto ciò poiché l’alcool distrugge ogni porto, ogni nido. Diventati grandi si  ricordano la paura per il genitore soggiogato dall’alcol, la violenza verbale e fisica subita dall’altro genitore o da loro stessi; la vergogna di avere una famiglia impresentabile; le promesse deluse; i sentimenti ambivalenti di odio e di amore impossibili da comprendere.

Per sopravvivere i figli imparano  a essere invisibili, crescono in fretta. Rinunciano alla loro spontaneità, sono diffidenti, chiusi su se stessi e troppo autosufficienti. Ciò spiega perché con un genitore alcolista da adulti soffrono di un profondo disagio nelle relazioni interpersonali e per superare l’ansia o l’imbarazzo nelle situazioni sociali spesso ricorrono al alcool. Cresciuti come “camaleonti” hanno bisogno di imparare ad aiutare se stessi e a riconoscere quanto siano stati “troppo bravi”.

Ecco perché l’alcolismo è riconosciuta come una malattia che colpisce l’intero nucleo familiare. In Italia sono 772 mila quelle già colpite. Le cifre da sole non dicono nulla del malessere psicosociale di cui soffrono i figli. Molto spesso hanno terrore alla reazione di violenza che potrebbe scatenare se informassero il medico; i parenti, gli amici, la scuola. La famiglia è sola e non vede possibilità di soluzione.

E’ centrale riconoscere che il genitore è ammalato e che non dipende dal comportamento dei figli che si curi. Per questo è importante chiedere aiuto.

Dallo shopping all’alcool, pericolose dipendenze sostituiscono le relazioni

Da L‘AZIONE, 15/02/2019

Viviamo in una società consumistica che spinge a comperare prodotti sempre nuovi per sentirci qualcuno e felici. Facciamo spese innecessarie e  in certe occasioni, in cui ci si sente soli, lasciati, svalorizzati, insoddisfatti, ci procurano un momentaneo benessere.

Quando però si inizia a sentire un impertinente bisogno di  piacere spendendo è il segnale di un malessere psicologico che si sta manifestando così.

Purtroppo è molto difficile rendersene conto; spesso sono le persone vicine che iniziano a segnalare l’eccessiva spesa e le ricadute negative sull’economia familiare. Si giunge a un punto in cui c’è solo il pensiero dell’acquisto  e al posto del piacere c’è l’ansia. Una relazione assoluta con la spesa a discapito del logoramento delle altre relazioni e di tutti gli altri interessi. Si può dire di avere una dipendenza dallo shopping compulsivo. In forma simile si è dipendenti dal gioco d’azzardo, dal sesso online, dal alcol, dal consumo di marijuana.

Nella nostra società individualista, in cui avere vale di più dell’amicizia, della compagnia e dell’ascolto, tutti siamo nelle condizioni di soffrire di una dipendenza.

Essa maschera un bisogno di relazioni autentiche. Scoprire di soffrirne può dunque essere occasione per mettere in discussione la propria vita per riaverla.

Il primo passo è accettare di essere dipendenti  e non di avere un vizio; il secondo è rivolgersi a uno psicoterapeuta che possa aiutare per trasformare la sofferenza in vita vera.

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