Il malessere nell’ambiente lavorativo

Andare a lavorare e sopportare ogni giorno un superiore aggressivo e svalutante, sentirsi presi di mira come nei casi di bullismo nella scuola, può divenire un incubo.

Sempre più spesso le persone si rivolgono all’aiuto psicologico perché devono subire il maltrattamento nel  lavoro. Arrivano esaurite e non ce la fanno  più a sopportare i cambiamenti inferti nelle mansioni o nel ruolo; provano un carico psicofisico eccessivo; i sintomi che li preoccupano sono spesso l’insonnia, gli attacchi di ansia, sentirsi sopraffatti dalla paura, dalla rabbia o dalla disperazione.

Oggi, come può accadere ciò?

I progressi della conoscenza, dello sviluppo tecnologico, la maggiore educazione, le leggi e i diritti acquisiti, i valori fondanti di uguaglianza, libertà, giustizia, non bastano a garantire relazioni lavorative umane e dignitose? Perché si arriva a soffrire psicologicamente nel contesto lavorativo, nel quale si trascorre una parte significativa della vita?

La Psicologia della Gestalt, che osserva come i cambiamenti sociali sviluppino specifiche manifestazioni di sofferenze psichiche, riconosce nella perdita del senso del tempo e dell’ appartenenza (quel sentirsi parte di qualcosa di più grande di noi stessi )la perdita di ciò che ci rende umani: l’empatia. Quel sentire da dentro ciò che prova l’altro e reagire; come se quello che accade all’altro succedesse a me.

Nel vivere di corsa e votati al fare per essere qualcuno si  è stressati, non c’è tempo per ascoltarsi, né ascoltare e lasciarsi toccare emotivamente; così l’uomo finisce per relazionarsi con freddezza  e distanza emotiva sia nei confronti sia di se stesso, sia dell’altro.

Se recuperassimo l’ascolto del corpo, come unità che è sempre in relazione con tutto ciò che lo circonda, nei contesti  lavorativi, non solo inizieremmo ad aver cura del proprio benessere, bensì diverremmo consapevoli che noi stessi  influiamo nelle relazioni con i nostri atteggiamenti. Se l’ambiente lavorativo è “malato”, diviene ancor più essenziale imparare ad aver cura di se stessi per non diventare vittime, né carnefici.

Infatti, si può affermare che chi si mette in gioco per dedicare del tempo all’ascolto del proprio malessere attraverso un sostegno psicoterapeutico, riesce a individuare gli atteggiamenti che ha per stressarsi da solo,   scopre che nessun ambiente “malato” riesce a scalfire la propria forza vitale e la propria autostima. Inoltre, nei contesti insensibili,  inizia ad accogliere l’aridità di chi ha perduto o ha soppresso la propria umanità.  A maggior benessere personale può derivarne maggior apertura e disponibilità verso gli altri.

Tale concezione supera la visione individualistica dei nostri tempi e ci invita a sentirci parte attiva e costitutiva sia del malessere, sia del benessere sociale.

 

 

Il corpo è la casa in cui abitiamo

Quando il tempo del fare rallenta o si ferma, perché è giunto quello del riposo o del relax, molte persone sono assalite da un malessere che pervade tutto il corpo, ogni sicurezza evapora e sono in preda all’ansia.

Se il corpo è la casa in cui abitiamo perché improvvisamente trema, diviene fragile, insicura, inospitale?

A chi capita? Spesso ai giovani, alle donne e agli uomini molto responsabili o “di successo”, “ai bravi ”.

L’ansia è percepita dalla persona come un possibile infarto e ciò naturalmente terrorizza.

Per raggiungere il successo, diventare famosi e ricchi o per essere in grado di sostenere i carichi di responsabilità familiari, a causa di certi cambiamenti imprevisti nella famiglia, si cresce troppo in fretta, si diventa “grandi” bruciando tappe.

Come conseguenza del vivere così: o proiettati in un futuro migliore o a farsi carico dei bisogni altrui negando i propri,  il corpo/casa, organismo vivente e sempre in relazione con tutto ciò che lo circonda, vive e registra le tensioni, lo sforzo psicofisico, tutta la frustrazione, i bisogni e i sentimenti negati, la solitudine relazionale e affettiva.

Allora, il corpo che, in preda all’ansia,  sembra non reggere più, sta forse manifestando il suo limite di sopportazione del maltrattamento e della negazione di sé?

Quale rapporto abbiamo con le nostre emozioni  e con quelle altrui? Come trattiamo la nostra casa e il nostro quartiere del mondo/gli altri, di cui siamo parte costruttiva? Con quante persone ogni giorno scambiamo un sorriso, una parola, uno sguardo che dica: “ salve, buona giornata”? Se ci osserviamo solo per un giorno, constateremo che incrociamo molti corpi e non incontriamo molti sorrisi, nemmeno li doniamo; oppure non vengono ricambiati.

Chissà che l’ansia, questo profondo malessere, che improvvisamente  frena la vita quotidiana e che ci fa chiedere aiuto, sia un’implosione vitale, che dal profondo di noi stessi ci porti a riscoprire il bisogno umano di avere relazioni vere e di fiducia e di volerci davvero bene. Siamo fatti per essere felici e per vivere con gli altri. Continua…

 

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