Cosa perdiamo a causa del tabù
Possiamo illuderci che il proprio modo di vivere e di pensare sia scevro dal contesto culturale di cui siamo parte. Riconosciamo che è un’idea errata quando ci imbattiamo nei tabù. Ciò accade quando dobbiamo affrontare esperienze che mettono in gioco la continuità della nostra vita e il suo significato. Tra esse c’è la malattia grave.
Sono state le persone malate conosciute che mi hanno fatto capire come lo stato di benessere sia un requisito implicito ed essenziale per essere considerate come persone e cittadini nella nostra società.
C’è un gap tra chi è sano e chi è malato: ciò, quali conseguenze comporta?
Infatti, quando giunge una diagnosi pesante, la persona colpita e la sua famiglia, immediatamente, si sentono ridotti ai sintomi, alle medicine da assumere, ai trattamenti da eseguire, a una cartella clinica. Per questo i bisogni di parlarne, di non restare da soli, di comprendere e di assimilare l’evento al interno della vita vengono soffocati. Solo l’idea di svelarli genera un senso di inadeguatezza e la persona colpita si imbatte nel tabù della malattia che suscita terrore in quanto è portatrice di sofferenza e spesso di morte.
In questi giorni molti sono toccati dalla conduttrice televisiva Nadia Toffa che aveva svelato di essere malata, atteggiamento che suscitò certe polemiche, forse perché si faceva portavoce di un’esperienza umana che molte persone vivono e che molte altre vogliono tenere scollegate dalla vita. Lei ha rotto il tabù e ha continuato a farlo con i suoi fans. Grazie Nadia.
In me, risuonano innumerabili testimonianze, come quella di Mattia, un uomo sposato di quarant’anni, padre di un bimbo. Al momento della diagnosi si sentì male e all’indicazione di essere ricoverato rispose: “Avrò pure un cancro ma ho pur sempre mio figlio. Quindi la prima cosa che devo fare è andare a casa”.
Questo sentire, riscontrato in molti genitori ammalati, mi commuove sempre poiché trasmette la poderosa forza delle relazioni e dei legami che prevale sulla paura che sopraggiunge improvvisamente e che minaccia di farle sparire.
Temiamo di non sapere come comportarci, cosa dire, di cosa parlare con un familiare, un amico o un vicino ammalato. Se invece pensassimo che è sempre un uomo o una donna, che è molto di più di ciò che sta attraversando e se ci approcciassimo con apertura ed interesse, scopriremmo di ricevere dei doni preziosi per vivere. Uno di essi è proprio la forza dei legami e delle relazioni, purtroppo svalutate nel ritmo frenetico del nostro vivere.
Nello stare accanto a chi soffre si riceve molto di più di quanto si creda di dare! Chi fa l’esperienza finisce sempre per confermarlo.
Provo gratitudine verso i pazienti che, nel tempo della malattia e in quello decisivo della loro vita, mi hanno lasciato entrare in un luogo intimo in cui non c’era solo la paura. Mi hanno fatto apprezzare il valore dei legami profondi attraverso un sorriso, una parola, un gesto, un tempo insieme.
Come succede per ogni tabù, nello scartare ed evitare di prendere contatto con l’umana esperienza della vulnerabilità e della finitudine causata da una malattia, perdiamo qualcosa di prezioso per noi stessi e per la società.
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