Uno sguardo psicologico sulla politica italiana
Pochi giorni fa, mentre molti tra noi cittadini vivevamo spensierati un tempo di vacanza, liberi da impegni e scadenze, avveniva “un divorzio politico”. Di ritorno a casa la situazione era mutata radicalmente, stava nascendo un nuovo governo, una nuova unione tra chi si era odiato e attaccato pesantemente per anni. Ci veniva chiesto di credere che l’acqua e l’aceto possono mescolarsi!
Questo status, presentato come “novità” è arrivato come una doccia fredda; ha suscitato un certo sgomento, un’incredulità iniziali. L’inimmaginabile e l’impossibile era avvenuto. Non abbiamo nemmeno avuto il tempo per crederci, o per farci delle domande che il “nuovo governo” era nato.
Ormai la crisi è superata, tutto continua a evolvere così velocemente che già attendiamo i fatti.
Dilaga la parola trasformismo; come il camaleonte che cambia colore per sopravvivere e trasformarsi è una sua competenza, sviluppata nel tempo, per adattarsi al ambiente in cui vive.
Invece, considerando i modi e i tempi del cambiamento non sarebbe più appropriato dire ambiguità? Nel suo significato di ciò che è suscettibile di varie interpretazioni; l’atto di manipolare, utilizzare, tradire, svalutare coloro i quali avevano dato loro la fiducia.
Abbiamo davvero elaborato tutto? Continuiamo a provare la stessa considerazione che avevamo di loro prima? Il diluirsi inaspettato e veloce delle identità, la permeabilità dei contenuti, la ferocia verbale, lo stravolgimento dell’alleanza con i rispettivi elettori saranno aspetti psicologici marginali?
Il malessere sociale ha sempre determinato e caratterizzato le forme delle sofferenze psicologiche. Oggi , il principio che si può fare tutto quello che si vuole, che non ci sono limiti, è socialmente condiviso e approvato in tutti gli ambiti e nelle nostre modalità relazionali. Bisogna correre, essere opportunisti, aggressivi, il prezzo è la desensibilizzazione e la solitudine.
Per esempio, soffermarsi su ciò che abbiamo provato dinnanzi la fine di un governo e la nascita di un altro nel giro di 20 giorni ad alcuni può sembrare assurdo: è già acqua passata. Non succede per caso qualcosa di simile quando una persona si ammala gravemente, una coppia si separa improvvisamente, qualcuno che conosciamo bene muore, e tutto il dolore si supera in un mese al massimo?
La fine di relazioni significative, senza previe discussioni, confronti e negoziazioni, avviene apparentemente senza tanta sofferenza. Non c’è lo spazio per piangere, per litigare, per chiarire. Figli e familiari subiscono la perdita. Cosa essa comporterà, cosa si sentirà e come cambieranno le relazioni e il vivere non viene considerato! Tuttavia, anche dopo anni, per molti, tutto il dolore e l’indicibile si è trasformato in un disagio psicologico che, può trovare la sua comprensione e una possibilità di elaborazione al interno di un processo psicoterapeutico.
La società ci invita a non assimilare, cioè a non ascoltare ciò che proviamo, ciò che sentiamo dinnanzi ogni esperienza che ci interpella come esseri di relazione, costituiti dai legami affettivi, dagli incontri veri.
L’ambiguità dei nostri politici, tra ciò che fanno e quello che dicono, ha generato ambivalenza; cioè sentimenti opposti. Noi abbiamo provato incredulità, diffidenza, svalutazione e loro ci convincono a sentire fiducia; sicurezza e che scelgono per “il nostro bene”.
Come psicologa provo una sinistra inquietudine. Sottovalutare la perdita di credibilità che l’ambiguità genera, è molto distruttivo. Si inaridiscono la linfa della fiducia, dell’appartenenza, del incontro e si alimenta lo scetticismo, il disimpegno, l’arido individualismo.
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